Dopo aver descritto i lavori in soglia, andiamo oltre e spingiamo ancora un po’ sull’acceleratore approfondendo il tema dell’acido lattico e dei lavori fuori soglia.
Per prima cosa, facciamo qualche cenno di fisiologia, per comprendere meglio cosa accade al nostro organismo quando si lavora al limite.

Incominciamo descrivendo l’acido lattico; il quale è un prodotto del metabolismo cellulare tossico per il nostro organismo. La sua alta concentrazione nel sangue provoca la cosiddetta fatica muscolare. Si forma quando l’ossigeno non è più sufficiente alla produzione di energia e viene attivato un meccanismo accessorio per la sintesi di ATP, denominato anaerobico lattacido.
In questo processo si ottiene l’energia necessaria senza l’utilizzo di ossigeno, così si libera una quantità di energia notevole; come controindicazione però si forma una sostanza di scarto dannosa, l’acido lattico appunto.
In dosi minime questa sostanza viene smaltita dal fegato, metabolizzata dal muscolo cardiaco e riutilizzata per scopi energetici.
Quando però supera una data quantità, che si attesta attorno ai 3,9-4 mmlo/L, l’organismo non è in grado di assorbirla al meglio. Incominciano così ad avvertirsi dei forti bruciori ai muscoli si deve ridurre notevolmente l’intensità in breve tempo.
Questo per dare alcune informazioni di base sul lattato. Ma serve all’agonista? Come si deve porre l’escursionista nei confronti di allenamenti così intensi? Quali sono i metodi per allenarla?
Andiamo per ordine e incominciamo a dire che per l’agonista è importane inserire allenamenti che stimolino la tolleranza lattacida e migliorino la potenza anaerobica. Questo perché le gare impongono ritmi molto elevati e avere un ottima tolleranza al lattato migliora le performance.
Inoltre allenare l’organismo a ritmi sub massimali permette di velocizzare anche i processi di smaltimento delle scorie, l’elasticità cardiaca e la capacita respiratoria.

Nell’enduro sono molti i momenti dove avere una ottima capacita anaerobica può fare la differenza.
Le fasi concitate di una PS sono situazioni dove viene richiesta una ottima capacità anaerobica; un organismo ben allenato riesce ad evitare l’affanno e il decadimento delle prestazioni. Quindi sicuramente l’agonista deve prevedere lavori che stimolino il lattato nel suo programma.

Cosa fare con gli escursionisti?
Quando ho parlato della soglia anaerobica, ho affermato che fosse un allenamento anche per l’escursionista; se parliamo invece di lavori sul lattato il discorso è più delicato.
Questo è un allenamento che prevede una maturità atletica notevole, anche la componente motivazionale gioca un ruolo importante; per cui sconsiglierei all’escursionista di cimentarsi in questa avventura, poiché non aggiungerebbe nulla al suo piacere di guida, rischiando di affaticare troppo il proprio organismo.
Ma come ci si allena al lattato?
Il mezzo di allenamento cardine è quello dei lavori intervallati; a seconda che si voglia allenare la potenza lattacida oppure la resistenza i lavori possono cambiare.
Infatti le ripetizioni brucianti che non superano il minuto permettono di attivare al massimo questo meccanismo energetico; mentre i avori in progressione, oppure con esercitazioni come il fartlek, ci danno la possibilità di stimolare la nostra resistenza ai lavori sub massimali.
Un esempio di lavoro è quello combinato, dove sono previsti alcuni minuti al medio, una progressione di qualche minuto in soglia e uno scatto a tutta che duri dai 30” al 1’30” a seconda del livello dell’atleta.
In questo caso c’è un incremento graduale dell’intensità, che eleva la frequenza cardiaca. Qui la presenza di acido lattico sarà notevole ma non massimale; sarà la resistenza ad essere stimolata al massimo.
Altro metodo che porta a migliorare la tolleranza lattacida sono le salite forza-ossigeno.
Questo strumento di allenamento è spesso inserito in un programma di forza più articolato; prevede lo svolgimento di alcuni minuti (max 4’) con la metodica delle SFR, seguiti da un tratto di pari tempo in soglia. In questo caso si porta il muscolo a lavorare in ipossia e il successivo tratto a ritmi di soglia obbliga l’organismo a muoversi con una acidosi maggiore.

Ultimo metodo è quello delle ripetute pure, tratti brevi (massimo 1’30”) fatti a tutta.
In questo modo la quantità di energia necessaria non è garantita dall’ossigeno; spesso le pulsazioni non raggiungono i valori massimali ma questo perché il muscolo cardiaco non è sufficientemente elastico per supportare le esigenze delle gambe.
In questo caso si deve raggiungere quella sensazioni di dolore muscolare che impedisce il proseguimento dello sforzo.
Tre strumenti differenti fra loro sia come metodo che come obbiettivo, che hanno però un denominatore comune che è quello di mettere in difficoltà l’organismo; per stimolare i processi di superconpensazione che ci permettono di migliorare e giustificano gli sforzi fatti.
Bisogna però fare attenzione nell’utilizzare questo tipo di allenamento; è importante farsi seguire da personale preparato, per evitare di incorrere in episodi di superallenamento.
