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Dust memories [polvere ovunque]


MI STO MODIFICANDO COME OGNI ESSERE VIVENTE CHE SI RISPETTI. STO ANDANDO A LAVORARE UTILIZZANDO LA BICICLETTA. DA HOMO SEDENTARIUS VEICOLUM CONDUCTOR A HOMO PEDALANTIBUS.

Sto diventando un mostro che farebbe felice Cronemberg (vi ricordate il film “la Mosca”?), un pericoloso alieno. Percorro 35 chilometri ad andare ed altrettanti se non devio in esplorazioni per ritornare, ma soffro di idiosincrasia da bitume. Un grosso e grasso problema. Ne ho parlato anche con un amico analista, il quale sostiene che il ciclista nato fuoristrada in quanto mutante, non riesce ad esimersi di farsi venire l’orticaria da mezzerie, indicazioni blu, verdi e marroni, cercando di deviare furiosamente lungo strade bianche che spesso e volentieri non portano a niente, la destinazione mezzo del nulla, allietata dalla vista di una discarica abusiva. Comunque non posso stare a gigionare, il lavoro ti invita in modo perentorio a presentarti in orario.

Quindi bitume, ma non ci riesco, non lo digerisco proprio come i panini all’autogrill, li mangi per disperazione in quei momenti potresti anche essere tentato dai croccantini del tuo gatto. Che faccio? Cerco strade non trafficate, dove la signora con il Suv ti fa pelo e contropelo mentre disperatamente cerca di truccarsi, sguardo fisso sullo specchietto retrovisore, telefonando. Ma a tal proposito… non hanno un impianto di vivavoce in auto? Capisco, il logorio della vita moderna… E gli sguardi di pura compassione che ti vengono rivolti mentre come un equilibrista percorri la riga bianca del margine stradale. La rotonda che ormai è una tradizione come lo Spritz all’aperitivo, si ripete all’infinito ponendoti un quesito esistenziale: è nata prima lei o l’automobile?

Ed intanto cerco con sguardi fulminei qualunque deviazione su sterrato, anche una vicinale con carregge alte come il gran canyon pur di alienarmi ( spiegato ora l’essere alieno) le scatolette che sfrecciano a centottanta facendo i fari anche ai caramba. In questa ricerca evolutiva ti imbatti in tratturi che stanno spesso a poche decine i metri dalla trincea d’asfalto, che ti portano in una dimensione parallela, fatta di fossi popolati da aironi, anziani che portano o forse si fanno portare dal cane a zonzo lungo le golene, lavatrici arrugginite che son li al margine dell’abbandono, a peritura memoria di quanti considerino gli argini come una naturale discarica: mi chiedo ogni volta che incontro queste isole di pattume se chi le abbandona potrebbe essere felice di averle sull’uscio di casa. Adotta un bidè, fai felice una rete di un letto, lasciati commuovere da un tubo catodico, visto che ormai sono estinti… Ma questo pedalare parallelo alla frenesia, ascoltando il rumore sfumato e triste che dal vento vien portato alle orecchie mentre le ruote scricchiolano sollevando polvere e zampillando il breciolino si trasforma in una sinfonia.

Gli odori che prima erano zanfate di idrocarburi, ora si rendono intensi, i fiori che mi sfiorano i polpacci colorano con macchie impazzite i verdi decisi della primavera, mentre il vento che come sempre sa, tira in senso opposto alla marcia mi riempie di polvere… Una polvere fine, quasi fosse una fine cipria, che ti si infila ovunque che rende epica la tratta. Mi piego sul manubrio, lo prendo per le corna chino il capo ed ondeggio sotto lo sforzo, mentre da uno stagno alla mia destra uno stormo di gabbiani, mi sa che si son persi, stan appollaiati sui rami di un’enorme salice, come se fossero pendolari in attesa di una coincidenza per un treno che sanno in perenne ritardo. Intanto pedalo, pedalo… qui mi insegue un bastardino, prima abbaiandomi poi visto che non lo considero, guaendo cercando attenzione, fin al momento che dalla golena emerge il suo proprietario, gridando improperi nei suoi confronti e scusandosi con me, perché anche lui è ciclista: “Bella bici! Ma che cos’è?”.

Gli girano le palle quando i cani lo i seguono… sorrido, accarezzo il cagnolino che scodinzola furiosamente: “È come il suo cane, è un incrocio, sembra una bici da strada, ma non ama la strada, è non comune diversa delle altre ma mi piace, come a lei piace il suo cane…non abbaia e morde gli sterrati”. La strada si perde nei campi, un canale sembra immobile, sospeso tra le sponde marcate dall’erba alta. Un ponte si avvicina sempre più, il vento ora mi porta odori di industrie, rapida la campagna si popola di capannoni, magazzini e ciminiere, gli aironi lasciano il posto agli escavatori, ai carrelli elevatori ed ai divieti di transito ai mezzi non autorizzati. Io proseguo sulla mia pista, marginale alle recinzioni ed alle pale eoliche, agli autotreni in attesi di scaricare all’apertura delle fabbriche. Una patina di polvere ricopre come una seconda mano di vernice gli steli della forcella, le mie gambe, ingiallendo i calzini. Mi ha accompagnato per un ora e venti.

Mi sembrava di aver viaggiato per un giorno intero, rapito da ogni piccola o grande sorpresa di una strada che corre a qualche centinaio di metri dalla statale. Di colpo le auto , la gente e i telefoni ritornano protagonisti. Ditemi perché non sopporto il bitume. La ripercorrerò questa sera e sicuramente il vento sarà bastian contrario… P.S. Continuo a scoprire varianti, scorci e casali. Ogni giorno un viaggio diverso. La polvere, no. Lei è un’amica fedele.



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