L’arrivo dell’estate ha sciolto in parte la neve scesa copiosa nell’ultimo inverno. È ora di salire, e tornare a respirare l’aria sottile dei ghiacciai, ascoltando il suono unico del silenzio. Un armonia che ti riempie la mente e ti trasporta lontano. Il tempo in queste terre ha un andamento diverso, si calcola in esperienze, non in ore e minuti. Siam tornati in Val Formazza, una di quelle perle nascoste, un posto unico di impareggiabile bellezza, che potrebbe competere in una particolare gara con altre terre alte più blasonate, senza paura di sfigurare, ma allora perché non compare fra le mete più ambite del biker? Perché non è tra le mecche della MTB? Questa è un’altra storia, che varrà la pena di approfondire.
Si parte da Riale, che abbiamo già avuto modo di visitare spesso sia in versione estiva che invernale. Girando su internet, Strava e qualsiasi altro sito, non ho trovato informazioni su questa discesa, il rifugio è nominato ovunque, il Citta di Busto è uno dei più frequentati di questa valle, ma non ci sono informazioni sulla sua ciclabilità, eppure durante altre escursioni quella schiena d’asino sembrava molto invitante. Come dicevo, la partenza è da Riale, prati, chiesetta sulla collina e tutto il resto, rendono questo avamposto di civiltà un luogo magico, ma oggi si sale per sentieri ignoti, quindi questa volta passo con la mente un po’ più in alto. Nei progetti la prima parte è su gippabile, fino alla piana del Bettelmatt, dove le mucche pascola producendo il prelibato grasso d’alpe che porta il nome dell’altipiano.
Ma questo inverno di neve ne è caduta parecchia e una slavina ha interrotto la strada, una sezione di 15/20Mt di neve con bella pendenza sciabile, ma di attraversarla con la bici in spalla non se ne parla, quindi si torna giù, si risale un sentierino in massima pendenza e si torna sulla gippabile, un giochetto da un’ora circa. Poi si arriva nella piana, in altri luoghi attorno a questo pianoro ci avrebbero costruito video e racconti fantastici, prendete la Scozia, unite un pizzico delle dolomiti e metteteci un paio di ghiacciai come sfondo e vi avvicinerete a quello che è il pianoro del Bettelmatt.

Da qui inizia il vero giro. Si prosegue fino a quando la strada si inerpica, alla mia destra la discesa dal Gries, un altro postaccio dove andare, davanti a me invece inizia il sentiero di Gionata. Scomoderò Caron demonio con gli occhi di bragia, per descrivere cosa aspetterà l’ignaro biker: lasciate ogne speranza o voi ch’intrate, così Dante descriverebbe questo momento, da qui si sale per 400 mt di dislivello di portage, portage e ancora portage, solo gli ultimi metri sono pedalabili, lasciando almeno la soddisfazione di giungere al rifugio con due colpi di pedale.

Inutile indorare la pillola, questo è sicuramente uno dei motivi che hanno fatto desistere gli avventurieri. Quindi bici in spalla, tanta pazienza e via. Un passo dopo l’altro, il ritmo lento e cadenzato aiuta a salire, mi ricordo sempre gli utili consigli degli alpinisti, salire lentamente, respirare con costanza e guardare solo davanti a se. Ogni tanto mi fermo ad osservare il paesaggio e vi è un unico aggettivo per descriverlo, FANTASTICO! Il sentiero si staglia lungo un ampia schiena d’asino, entra ed esce da una valletta erosa nei millenni dai ghiacci che qui erano di casa, un sentiero quasi sempre a sbalzo ma suggestivo come pochi. Le persone che incontro mi guardano incuriosite, non sanno che dietro a quell’apparente fatica vi è una mente che sta già immaginando la discesa, le linee, gli anticipi, dove realizzare le foto e tutto il resto.

Perché quello che all’inizio avevo solo anticipato è che se la salita è un viaggio negli inferi della fatica, ribaltando la cosa questo sentiero è stato disegnato dal migliore dei trail builder, la natura. Un trail largo poco più di un metro, pendenza costante, fondo liscio e curve precise. Ma intanto si sale, il cartello alla base dava 1h30’ al rifugio, alla fine sarà molto meno ma va bene così. Davanti a noi la diga dei Sabbioni, sotto di noi un altro sentiero che ho deciso di visitare nella mia escursioni con pernottamento in bivacco la prossima volta. Davanti il ghiacciaio dell’Arbola ampio e ancora pieno, e infine la discesa che mi chiama con voce suadente come le sirene dell’iliade chiamavano a se Ulisse. Inutile dilungarsi in grandi descrizioni, flou, danza e palate di godimento, una discesa fantastica, da affrontare con la mente sgombra e con la voglia di divertirsi sulla bici, da fare senza esagerare con la velocità, questo è un percorso frequentato anche dagli escursionisti e quindi importante avere sempre il pieno controllo del mezzo. La possibilità di anticipare e prevedere la presenza dei pedoni, per non spaventarli o rischiare incidenti è fondamentale. Ma la discesa è incredibile, mentre questo articolo andrà in stampa l’avrò percorsa alte 3 volte con itinerari differenti. Poi si torna nella piana descritta prima e da lì parte la seconda discesa di giornata.

La conosco bene e la aspettavo, qui il fondo cambia, c’è un po’ di pendenza, molti sassi, ma quando si prende il ritmo il balletto riparte, un ritmo diverso, più agitato, sassi, drop, tratti chiusi, una linea da improvvisare metro dopo metro, sempre con un occhio ai pedoni. Se la discesa dal Città di busto è simile ad un elegante valzer di Strauss, questa è paragonabile ad una Taranta. Poi si torna alla diga, la voglia di risalire è tanta, ma oggi il gioco è finito, si torna lentamente alla modalità normale, fino alla prossima avventura.
